La Campagna cronache e leggende

Giorno e Notte

La figura incappucciata spronava il nero destriero nella notte: attorno ai due lampi e tuoni scuotevano il buio e il silenzio, mentre una fitta pioggia scendeva lungo la strada che da Falwur portava a Polvar. Finalmente, dopo ore di pioggia battente, l’uomo intravide una luce in lontananza: avvicinandosi riconobbe la costruzione, una grande locanda a due piani dotata di stalla. Arrivato a pochi metri dall’ingresso smontò da cavallo e si avvicinò alla costruzione: sopra la porta un’insegna illuminata dalla debole luce di una lampada a olio riportava la scritta “Il Rifugio del Viandante”. L’uomo sorrise compiaciuto ed aprì la porta: la prima cosa che notò fu che nulla era cambiato dall’ultima volta che vi aveva pernottato. Una grossa tavolata era al centro del salone, mentre sulla parete est c’era un camino con un caldo fuoco; a sud dietro a un bancone un uomo, che riconobbe essere l’oste, serviva da bere agli avventori, e sempre a sud si intravedeva in una stanza attigua una donna intenta a lavorare ai fornelli. Seduti al grosso tavolo vi erano una quindicina di persone: mercanti, avventurieri, contadini, tutta gente diretta a Polvar o a Falwur che, come lui tempo addietro, avevano deciso di fermarsi alla locanda per passare la notte. Appena fece il suo ingresso nel salone della locanda l’oste gli andò incontro con un sorriso stampato sul volto “Benvenuto al Rifugio del Viandante” disse “prego si accomodi, le porto subito un piatto caldo. Con questo tempaccio da lupi” continuò l’oste volgendo lo sguardo a una delle finestre “avrà molto freddo”. L’uomo incappucciato andò a sedersi alla tavolata con molta calma “No, io non soffro il freddo” disse “portami una birra”. L’oste si allontanò in direzione del bancone mentre l’uomo incappucciato si guardava attorno; il suo sguardo si soffermò sui due cani vicino al camino, che lo osservavano impauriti: appena il suo sguardo si posò sulle bestie queste scapparono in cucina uggiolando per il terrore e facendo quasi cadere l’oste. Il proprietario della taverna lanciò una maledizione ai due cani, e tutti gli avventori si girarono divertiti a osservare la scena; tutti tranne tre. Due uomini, posti dall’altra parte della tavolata, non avevano smesso di fissarlo dal momento in cui era entrato nella locanda, e ora anche l’uomo incappucciato li stava osservando di rimando. Il più giovane si alzo in piedi e si diresse verso di lui, mentre l’altro, molto più anziano, fece il giro della tavolata: l’uomo incappucciato notò immediatamente il loro vestiario ordinario, ma quei vestiti comuni, tipici degli avventurieri, non bastavano a nascondere ai suoi sensi la vera natura dei due uomini. Certo, un uomo qualsiasi non se ne sarebbe mai accorto: ma lui non era un uomo qualsiasi, anzi a dire il vero lui non era neanche più un “uomo”. Aveva avvertito la loro aura nel momento stesso in cui era entrato nella locanda, ed era sicuro che anche i due avevano percepito subito la sua: poteva percepire chiaramente la purezza dei cuori dei due uomini, una luce bianca e calda come quella del giorno, e sapeva che i due uomini avvertivano la sua, nera e fredda come la notte. I due lo affiancarono ed estrassero le spade “Nel nome di Re Arkan ti ordiniamo di arrenderti: posa a terra le armi e seguici senza fare storie” disse il più anziano dei due. “Non mi pare questo il modo di trattare un vostro confratello” rispose tranquillamente Kurtan di Mistralia scoprendo il cappuccio e rivelando il suo volto. “Tu non sei un Figlio della Luce come noi” rispose urlando il più giovane alzando la spada “Pagherai per le persone uccise a Jalos!”. Ma Kurtan fu più veloce: estrasse la nera spada dal fodero, e subito una luce color rubino illuminò la lama dell’arma. I due Figli della Luce attaccarono il Figlio delle Tenebre contemporaneamente, ma le loro armi affondarono nella carne della creatura senza far danni. Il più vecchio dei due, un uomo che da anni ormai combatteva creature simili a Kurtan, capì subito che le loro armi erano inefficaci, e invocò Heirenous affinchè donasse forza alla sua spada. Il più giovane invece continuò nel suo inutile assaltò, e la sua vita si spense quando la nera lama gli spezzò in due il cuore. Kurtan senza nemmeno voltarsi estrasse la spada dal corpo esanime del giovane e saltò sulla tavolata evitando il colpo dell’altro paladino. Gli avventori della locanda intanto osservavano impauriti la scena, cercando di allontanarsi dalla zona del combattimento. Un guerriero temerario sguainò la spada e attaccò Kurtan, ma tutto quello che riuscì ad ottenere fu un braccio troncato di netto da un colpo della nera lama del Figlio delle Tenebre. L’anziano paladino e Kurtan si fronteggiarono per alcuni minuti, mentre alcuni degli avventori correvano alla porta in cerca di una via di fuga da quell’essere demoniaco: un mercante di Lopolla fu il primo ad uscire dalla locanda, e fu il primo a trovarsi il cranio spappolato da uno zoccolo della cavalcatura di Kurtan. Intanto il paladino cercava di trovare un varco nella difesa impenetrabile di Kurtan, ma il Figlio delle Tenebre era troppo veloce, una velocità inumana; alla fine Kurtan si stancò di giocare, e con un’affondo tolse la vita all’anziano guerriero. Gli avventori che ancora non avevano provato a fuggire dalla locanda osservarono inorriditi l’uomo sventrare a mani nude il petto del paladino più giovane ed estrarne il cuore: “Oste non serve che mi porti la birra…. berrò altro” disse Kurtan con un ghigno prima di addentare con gusto il cuore ancora caldo. L’oste osservava sgomento quel volto, un volto che ricordava di aver visto anni addietro, quando quel ragazzo era ancora un fedele servitore del bene e non un vampiro assetato di sangue. E questo fu il suo ultimo pensiero prima di morire. Dieci minuti dopo Kurtan uscì dalla locanda, facendosi strada tra i cadaveri degli avventori che avevano provato a scappare dalla taverna e che il suo cavallo aveva provveduto ad eliminare. La pioggia scendeva ancora copiosa e puliva il viso e i vestiti del Figlio delle Tenebre dal sangue dei morti. “A quanto pare” disse Kurtan divertito accarezzando il collo del destriero “qualcuno ha spifferato ai Figli della Luce che sono in zona. E noi sappiamo chi è stato vero?” concluse con una risata. Il destriero lo osservava con occhi rosso sangue, occhi che tradivano la sua vera natura di essere demoniaco: una cavalcatura adatta al proprio cavaliere. Il giorno dopo dei contadini arrivarono al Rifugio del Viandante e trovarono il macabro spettacolo: decine di corpi giacevano straziati all’ingresso della taverna e nel salone principale. Affianco al camino una scritta era stata tracciata su un muro con il sangue: “Vendetta”.