La Campagna GDR Zone

Fagioli banfoni per tutti

Il lupo pareva guadagnare forze ad ogni falcata, come se si fosse appena messo a correre. In realtà erano ore che galoppava senza sosta, e il suo fardello non era affatto leggero. La scena che si presentava agli occhi dei pochi animali che lo scorgevano con la coda dell'occhio, prima che con due balzi si sottraesse rapido alla loro vista, era decisamente inusuale... del resto quel lupo aveva trascorso la sua infanzia con due umani, non con il suo branco; aveva visitato più terre e climi di qualunque uccello migratore, e si era trovato a dover fronteggiare mostri davanti ai quali anche il più coraggioso degli orsi avrebbe subito voltato le spalle. Ma il suo passo si faceva sempre più rapido. Il piccolo halfling sul suo dorso sapeva per quale ragione: aveva di sicuro fiutato le tracce dei suoi compagni. Gli unici animali con i quali si trovava realmente a suo agio. D'improvviso, giunto in cima ad una collina, si fermò. Ed eccolo là, stagliarsi di fronte ai due... dapprima si scorgevano i ceppi di numerosi alberi tagliati di recente; poi i primi campi coltivati; dei grossi pali piantati nel terreno, fondamenta di nuove, piccole abitazioni; degli argentei canali d'acqua che si facevano via via più fitti, attraversando campi e stradine; infine una serie di case di antica edificazione, tutte strette le une alle altre, che circondavano una piazza lastricata da migliaia di minuti ciottoli di pietra, al centro della quale sorgeva un'elegante chiesa, completamente in legno. Il suo maestoso portone, sicuramente in legno di quercia, era un unico enorme bassorilievo, scolpito e colorato a forma di grande cornucopia, dalla cima della quale fuoriuscivano frutti maturi e verdure freschissime, cereali appena raccolti e legumi d'ogni tipo, fatti così bene da sembrare veri. "Beh... in realtà SONO veri!" pensò Merryl con un sorrisetto stampato sul volto, pensando a quando il vecchio Molin -forse un po' alticcio- si era preso una patata in testa aprendo il portone con troppa foga. L'halfling si rese conto d'un tratto che quello era il suo primo sorriso dopo un lungo, lunghissimo, quasi eterno periodo di tempo... e la cosa non andava affatto bene, altroché. Scese dal dorso di Baran, rapidamente gli tolse i finimenti -poco più che un laccio per tenere stabile la sella dalla quale pendevano due grandi sacche a dire il vero- e, dopo esserseli caricati in spalla, fissò il lupo negli occhi. Baran si piegò leggermente sulle zampe, come in procinto di rimettersi a correre, ma a sua volta rimase immobile a guardare l'halfling, fisso negli occhi. Dopo qualche secondo di sguardi, Merryl disse quello che entrambi attendevano... "ormai lo sai, vecchio amico: quello che arriva ultimo al portone della chiesa è un seguace di Vecna-merda!". Nessuno dei due mosse un passo però. Baran anzi emise un basso ringhio, continuando a scrutare Merryl. Ma l'halfling pareva disarmato e inoffensivo. Non aveva la corda magica tra le sui mani, che gli aveva lanciato contro l'ultima volta per immobilizzarlo. E nemmeno una pergamena da leggere per rendergli le membra di legno, trucco che aveva usato la volta ancora prima. Ed infine altri halfling vicini, pronti a bloccarlo, non ne vedeva né fiutava. D'improvviso Merryl fece il primo passo, ma con calma, senza fretta, verso il villaggio, continuando a guardarlo. Baran non smise di ringhiare, anzi lo fece ancora più forte di prima, ma non si mosse, troppo sospettoso. Merryl iniziò progressivamente ad aumentare il ritmo dei passi, e di lì a breve stava correndo a più non posso, lo sguardo non più sul lupo ma dritto davanti a sé, verso il centro del villaggio. Baran, sentendosi ancora una volta ingannato, scattò fulmineo in avanti e in pochi istanti gli fu di nuovo al fianco; Merryl provò a fargli uno sgambetto per farlo ruzzolare a terra, ma seppur sbandando un po' Baran riuscì a rimanere in equilibrio e a sorpassarlo, scomparendo dietro ad una casa poco più avanti. Sebbene la vittoria fosse ormai perduta l'halfling continuò a correre più veloce che poteva, sperando che qualcuno o qualcosa fermasse l'amico; si trovava ormai a pochi passi dalla piazza quando qualcosa lo urtò sul tallone e, tanta era la foga con la quale correva, lo fece finire a terra. Merryl ancora prono si voltò stupito e vide che alle sue spalle si ergeva trionfante Baran (a dir la verità si era appena rimesso in piedi, perché con la coda dell'occhio aveva visto che anche lui era caduto), il naso sanguinante. "Ma guarda un po' che scemo d'un lupo m'è capitato" disse rialzandosi, "pur di farmela pagare si fa male pure lui!". Tese la mano e subito il lupo avvicinò il muso, dandogli una umida leccata; socchiuse gli occhi, aggrottò le sopracciglia e d'improvviso la piccola ferita sul naso dell'animale scomparve. Si rialzò in piedi facendo per proseguire, ma Baran lo stava trattenendo mordendogli la parte finale dei pantaloni. "Beh, e ora che c'è? Vuoi rimanere qui tutto il giorno?!?" gli chiese ancora un po' scocciato per essersi fatto fregare in quella maniera. Ma Baran non si decideva a mollare la presa, anzi ora aveva puntato le quattro zampe e tirava con rapidi strattoni verso l'alto. Merryl d'un tratto capì, e ci mancò poco che si commuovesse.. sollevò l'altro piede da terra e con un saltò gli fu sul dorso. Baran lasciò istantaneamente la presa e si rimise a correre a tutta velocità con il suo passeggero: ormai la chiesa era proprio lì davanti a loro. I due, totalmente immersi nel loro gioco, non si erano accorti delle persone che li circondavano, e del fatto che da quella chiesa era iniziato a provenire un incessante scampanare. Quella sera mangiarono cibi dei quali non si ricordavano nemmeno più l'esistenza: sformato di maiale con funghi gambetti ed erba serpentina; zuppa d'avena con grano verde e fagioli banfoni (meglio non dire di come quei fagioloni s'erano meritati quel nome); brodo di gallina madre ed erba cipollotta; crostata di prugne e mirtilli selvatici, crema all'anice stellato e chi più ne ha più ne metta.
Furono molte le domande a cui Merryl diede risposta tra un boccale di resuscitamorti e uno di birra di castagna, ma prima di perder lucidità preferì iniziare a comunicare alla sua gente le novità per le quali aveva fatto ritorno. Alzò le sacche che teneva ai piedi, le aprì e le rovesciò sul tavolo. D'improvviso calò il silenzio, e la musica cessò. "Fratelli miei, avete fatto molto, e ve ne sono grato. Ho visto i campi seminati, il fieno stipato nelle stalle, i cereali nei granai, i recinti pieni e le bestie grasse. Ho visto le nuove case in costruzione, gli steccati, la fucina, il mulino sul ruscello e il forno comune. Ma possiamo fare di meglio e -che Yondalla ci sia testimone- di meglio faremo! Quanti di noi ancora sono là fuori, con la guerra in arrivo? Quanti nostri villaggi devono ancora esser saccheggiati, via via che la legge del re diverrà sempre meno rispettata e i predoni si moltiplicheranno? Il mondo là fuori non è posto in cui siamo ben accetti ora come ora, credetemi. E nemmeno le nostre oasi di felicità possono durare per sempre, prima che vengano scoperte e distrutte. Pensate che anche il culto di Pelor ormai è perso: è salita al potere una corrente che odia le razze diverse dalla loro, "abomini" ci chiamano! La valle del Ket ha ceduto, la Kamala è alle porte. Chi abitava a Sopramonte avrà capito di cosa parlo. Non possiamo contare più su nessuno, se non sui nostri fratelli halfling. Ma noi non siamo dei codardi: gente pacifica non vuol dire gente vigliacca. Avremo un ruolo in questa guerra, che gli altri lo sappiano o no, se ne accorgano o no, ci ringrazino o no: e a quel ruolo terremo fede. Ed arriveremo preparati a quel giorno. Yondalla questo vuole!" Merryl spostò la grande quantità di monete e gemme che erano uscite dalle sue sacche quando le aveva rovesciate e, con un rapido gesto, estrasse dal fodero un pugnale che portava sempre con sé conficcandolo sul tavolo. "Fratelli, chi è con me?" chiese guardandoli uno ad uno.
Quella notte il suo sonno non fu per nulla sereno. Stanze piccole dalle quali non poteva uscire; gente grande che lo insultava; Baran che non c'era più; finti buoni col simbolo di Pelor che uccidevano la gente; Yondalla che sembrava non ascoltarlo. Raramente aveva fatto un incubo così verosimile. Poi, per fortuna, si svegliò. Scese rapidamente dal grosso letto e con un saltino toccò terra. Era pietra, gelata. E c'era uno strano odore di incenso. Quello non era il profumo di una colazione halfling. Quella non era nemmeno una casa halfling, con il pavimento in pietra. Cos'era quel posto? Nemmeno la prigione, grazie al cielo, con quel letto spartano ma tutto sommato comodo. Poi ricordò. Quello era il monastero di Landar. E il suo corpo, lungi dall'essere in forma, era mal nutrito e tutto dolente. Ma non come un mese prima: ora camminava, riusciva anche a fare una piccola corsa prima di doversi fermare a riprendere fiato. Basta, non ne poteva più di quei sogni e quel risveglio: l'ora era giunta. Ma soprattutto non riusciva più a stare senza Baran al suo fianco. Uscì dalla stanza, salutò i confratelli che incontrava ed andò a fare colazione. Poi riprese tutto il suo equipaggiamento e attese che qualcuno di loro si recasse sul carro al paese più vicino. Una volta giunto lì qualcuno lo vide dirigersi alla scuderia e poi alla taverna. Ma in poco tempo di lui si persero le tracce.
Nella sua stanza al convento, prima di andarsene, aveva messo tutto in ordine; sul letto spiccava però un piccolo fagotto avvolto in una pergamena. Fuori c'era scritto "per Landar". Dentro qualche moneta d'oro, probabilmente un po' più di quante servissero per ripagare il vitto e l'alloggio, qualcosa di tondo avvolto in uno straccio pulito e un messaggio: "Prenditi cura delle persone a te care. Forse un giorno ci rivedremo". L'oggetto tondo pareva proprio aver le dimensioni del simbolo sacro di Pelor che Merryl aveva portato per lunghi anni al collo, al fianco di quello di Yondalla.